Nel 1° semestre 2017 i prezzi dello Zn al LME di Londra, rispetto analogo periodo del 2016, hanno registrato un aumento del 34%. L’impennata maggiore si è registrata a Febbraio e Marzo seguita da una leggera flessione in Aprile e Maggio ed una rinnovata ripresa in Giugno, quando i prezzi sono ritornati ai livelli di Febbraio.
Siamo entrati in un periodo estivo di ridotta attività e ciononostante i prezzi continuano ad essere sostenuti.
Innanzitutto bisogna osservare che anche nel 2016 i prezzi hanno registrato rialzi in Luglio e Agosto, poi un’impennata a Settembre, per cui il 2017 non sembra essere una anomalia.
Cerchiamo di sintetizzare i principali fattori di questo andamento:
gli stock ufficiali presso LME continuano a calare. Al 5/07/17 sono scesi a 284.500T (corrispondenti al 2% del consumo mondiale) registrando un calo del 30% rispetto a Maggio 2017.
Nello stesso tempo i certificati warrants cancellati sono scesi da 100.000T a 79.000T (calo reale e non figurativo come si è verificato qualche volta in passato quando si è assistito ad un trasferimento di metallo da un magazzino all’altro del LME)
Una buona parte del metallo è andato in Cina dove per tutto Maggio e fino al 22 Giugno c’è stato un arbitraggio favorevole per i Cinesi tra le quotazioni LME di Londra e quelle di SHFE di Shanghai e ciò ha spinto gli importatori Cinesi ad aumentare le importazioni, dovuto al rapido declino degli stock in Cina.
Con il 53% del consumo mondiale di zinco, la Cina svolge un ruolo rilevante nel mercato e ogni decisione colà presa ha ripercussioni in tutto il mondo.
La conferma della carenza di metallo trova corrispondenza nell’andamento delle quotazioni del LME dove a tratti si è verificato una situazione di Backwardation, cioè i prezzi per consegna pronta sono più alti di quelli a 3 mesi, sintomo che i prezzi pronti sono altri e ciò sconcerta i consumatori perché da un lato, visto l’alto livello dei prezzi, comprano solo il minimo necessario e dall’altro perché non riescono a riversarli a loro volta ai propri clienti.
E’ importante sottolineare che la riduzione degli stock non è il frutto di una domanda in forte crescita, ma piuttosto la conseguenza dei tagli produttivi pari a circa 2 milioni di tonnellate che i principali produttori mondiali (Cina compresa) hanno deciso a fine 2015, i cui effetti si avvertono ora.
In Usa ad esempio la domanda attuale è debole, in attesa degli stimoli annunciati da Trump, ma gli stock diminuiscono perché continua lo sciopero presso la fonderia di Noranda che da 5 mesi lavora al 50% della capacità.
Gli esperti, non intravvedendo forti aumenti dell’offerta nel breve periodo e prevedono che lo Zinco chiuderà il 2017 riportandosi ai livelli del Gennaio 2017. Se ciò si dovesse realizzare dovremo attenderci un ulteriore aumento dei prezzi attuali del 2,5%.
Altri istituti internazionali allungano le previsioni fino al 2021 e ritengono che la tensione sui prezzi non allenterà perché l’insufficiente disponibilità di minerali e la conseguente drammatica riduzione delle spese di trattamento (TCs) (nel 2017 molte fonderie non coperte da contratti di durata sono state costrette a riconoscere ai minatori TCs di 45-60 $/Ton contro i 180$/Ton del 2015-2016), ciò costringerà molte fonderie obsolete a chiudere gli impianti.